Social impact, ovvero cambiare per non morire. «Nell’ultimo decennio è aumentato il divario economico tra le persone» e «solo perché generiamo un utile di 4 miliardi possiamo intraprendere nuovi obiettivi in ambito ambientale, formativo, culturale, inclusivo»; affermazioni rispettivamente di Gian Maria Gros-Pietro, presidente, e Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa San Paolo.

Punto di partenza per le successive riflessioni di un ricco gruppo di invitati che la banca ha ospitato giovedì 16 gennaio nel Centro Congressi Fondazione Cariplo in via Romagnosi 8 a Milano per rafforzare la reputazione di Intesa San Paolo come “Motore per lo sviluppo sostenibile e inclusivo”.

Tre ore per presentare gli interventi della banca per accesso al credito, ambiente, filantropia e cultura, ma anche per riflettere sul futuro.

Le disuguaglianze e l’instabilità sociale

Carlo Azeglio Ciampi e Giuliano Amato

Carlo Azeglio Ciampi e Giuliano Amato

La capacità del mercato di distribuire in modo largo i benefici derivanti dal profitto è venuta meno, «oggi non è così e il mercato deve dimostrare, con il suo funzionamento, di occuparsi di chi è escluso. Come lo si fa rientrare? Non per beneficenza, ma per sopravvivenza; un mercato che funziona poco, per troppo pochi, mette a repentaglio la stabilità sociale del sistema». A sottolinearlo Giuliano Amato, giudice costituzionale, e padre – con Carlo Azeglio Ciampi e Beniamino Andreatta – della legge che porta il suo nome e che nel 1990 rivoluzionò il sistema bancario italiano. Se le organizzazioni economiche non svoltano, cambiando radicalmente paradigma, mettono a repentaglio la loro stessa esistenza, perché i costi derivanti dai disastri ambientali e le spinte sociali sovraniste e populiste con risvolti autarchici e protezionistici, avranno come risultato la contrazione dei profitti. Ecco perché, suggerisce Amato, le università americane ed europee hanno istituito corsi in Business and Human Right: se non si rispettano i diritti umani le aziende sono a rischio. Un capovolgimento – anche teorico, dopo quarant’anni di “Scuola di Chicago” e liberismo sfrenato – che «come dimostra l’esperienza di Banca Etica rende possibile l’impatto sociale dell’impresa» ha precisato Amato.

All’emergenza economica e sociale si somma quella culturale. Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha sottolineato l’affermarsi di una nuova religione, l’egolatria che brucia i rapporti umani, «crolla il senso del noi ed esplode la cultura dell’io: ma non è sufficiente garantire un pasto, bisogna includere, dimostrare affetto», «creando opportunità di lavoro tramite la formazione imprenditoriale, con una chiamata comune alla solidarietà» ha auspicato Letizia Moratti, co-fondatrice della Fondazione San Patrignano.

L’emergenza ambientale

Malgrado i negazionisti come il presidente USA Donald Trump si ostinino a sostenere che l’emergenza ambientale non esiste, gli scenari e le previsioni degli analisti finanziari proiettano un altro film. «Il numero di persone che vivono in aree dove esiste il rischio di ondate di calore potenzialmente letali potrebbe passare dall’attuale zero a un valore compreso tra 250 e 360 milioni entro il 2030, con una probabilità di accadimento del 9% annuo. Il numero potrebbe aumentare tra 700 milioni e 1,2 miliardi entro il 2050, con una probabilità di accadimento del 14% annuo» si legge nell’ultimo rapporto “Rischio climatico e risposte: pericoli fisici e impatti socioeconomici” del McKinsey Global Institute, con ripercussioni sociali ed economiche «su larga scala, mettendo a rischio milioni di persone, trilioni (un trilione vale mille miliardi n.d.r) di dollari di attività economiche e importanti risorse materiali e naturali del Pianeta».

Si spiega così il fiume di denaro che i grandi Fondi – da Black Rock, tra l’altro azionista di Intesa San Paolo, a Vangard Group e JP Morgan  Chase – puntano sul Green deal, l’affare verde: 41 mila miliardi di dollari per convertire le aziende al credo Esg, acronimo per “Environmental social governance” che individua pratiche per migliorare le aziende. Dalla tutela ambientale, al rispetto dei diritti di genere, standard lavorativi e rapporti con la comunità civile fino alle regole societarie, dalle retribuzioni dei manager ai controlli interni. E continuare così a generare profitti.

Gli impatti tecnologici e il ruolo degli Stati

Un’economia bio, rispettosa dell’ambiente, ha senso solo se si realizza nell’economia circolare, ripensando l’utilizzo dei materiali sin dalla progettazione, a partire «dalla rigenerazione dei suoli, utilizzando piante e radici profonde per ricostruire il carbonio in profondità, per produrre vegetali da trasformare fisicamente, chimicamente e tecnologicamente per i più diversi utilizzi». Catia Bastioli, presidente di Terna e amministratore delegato di Novamont, pioniera nel settore delle bioplastiche fin dal 1989 (suo il brevetto per i sacchetti che quotidianamente usiamo per riporre l’umido), ha tracciato un percorso chiaro: ma siamo pronti al cambiamento? Il primo monte da scalare lo ha evidenziato Alessandro Rosina, docente di Demografia e direttore del Laboratorio di Statistica Applicata dell’Università Cattolica di Milano: «In Italia abbiamo pochi giovani causa denatalità; ne sprechiamo molti; ne regaliamo ad altri Paesi. L’abbandono scolastico è alto e spesso la preparazione garantita dalla scuola è lacunosa. I giovani non sono aiutati nel trovare la giusta collocazione e a scendere in campo. Di conseguenza o aspettano adattandosi con rassegnazione oppure emigrano: rivedere il percorso scuola-lavoro è indispensabile».

Formare alle nuove professioni richieste dal mercato e prepararsi all’impatto delle nuove tecnologie che impongono continue modifiche dei modelli organizzative e la distruzione di ruoli aziendali: un aspetto ricordato anche da Carlo Messina. L’amministratore delegato di Intesa San Paolo ha ammesso che, per l’impatto delle nuove tecnologie, alcuni tra i 90 mila dipendenti della banca dovranno nei prossimi anni riconvertirsi, imparare nuovi mestieri, che spazieranno dalla cura alla persona alla cultura, e che sarà obbligatorio garantire a tutti un percorso di formazione adeguato.

Beniamino Andreatta con Carlo Azeglio Ciampi

Beniamino Andreatta con Carlo Azeglio Ciampi

Ecco allora che gli Stati – e le organizzazioni sovranazionali, in primis l’Unione Europea – devono ritrovare voce in economia, non certo per riappropriarsi di ruoli gestionali o dirigistici, ma «recuperando i valori costituzionali della sussidiarietà che la cultura cattolica, socialista e liberale, a rischio scomparsa, hanno saputo garantire insieme alla coesione sociale nel nostro Paese» come ha affermato in chiusura di giornata Giovanni Bazoli, presidente emerito di Intesa San Paolo, ricordando proprio l’opera e il ruolo di Beniamino Andreatta, Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi.

 

su La Voce e Il Tempo del 9/2/2020