Varallo è la porta d’ingresso per la Val Sesia, che si arrampica fino ai 4554 metri della Punta Gnifetti, sul Monte Rosa. Già abitata in epoca celtica è citata ufficialmente per la prima volta in un documento del 1025, con l’antico nome di Varade, che si trasforma in Varale nel 1083, per diventare definitivamente Varallis a partire dal XII secolo. Celeberrima per il Sacro Monte che la sovrasta – patrimonio mondiale dell’umanità Unesco –, Varallo vanta molti capolavori d’arte e architettura e il primo lo si incontra arrivando da Borgosesia prima di entrare in città: la cappella rinascimentale della Madonna di Loreto.

La cappella della Madonna di Loreto a Roccapietra

La cappella è isolata, in mezzo al verde di prati e boschi a fare da quinta, a metà strada tra la frazione di Roccapietra e Varallo. Un gioiello di architettura rinascimentale, decorata sia all’esterno sia all’interno, costruita a partire dal XV secolo e completata con il loggiato nei primi anni del Cinquecento, completamente restaurata negli anni Cinquanta del secolo scorso. Molte opere pittoriche sono di Gaudenzio Ferrari – che in quegli anni lavorava anche al Sacro Monte – sopra la porta d’ingresso, nella lunetta, la prima: Natività con Maria e Giuseppe adoranti e il Bambino che sembra divertito dalle carezze di un angelo. Attorno alla lunetta Assunta con Angeli e i dodici Apostoli, altri affreschi nelle volte del loggiato, con scene di paradiso, inferno e purgatorio e della vita della Vergine.

All’interno, sulla volta, figure di angeli nello stile di Ferrari. Sulle pareti altre scene della vita della Vergine, eseguite nel 1542 da Giulio Cesare Luini.

Sopra l’altare l’opera più importante della cappella: Gaudenzio Ferrari affrescò l’angelo annunziante e la Vergine; tra le due figure collocò la statua in terracotta policroma Madonna che allatta che Giovanni Testori – che studiò a fondo tutta l’opera dell’artista di Valduggia – descrisse così: «Una vitalità perpetua la sommuove; una carica d’affetti trattenuta sì, ma perpetuamente sull’orlo di sbocciare; il che significa ch’essa può alzarsi e prender a muoversi, madre tra le madri».

Passeggiata a Varallo e al Sacro Monte

Varallo_Collegiata.jpgPiazza Vittorio Emanuele II è il centro della città, sovrastata da San Gaudenzio, su una rupe isolata. La chiesa, risalente al XII secolo, fu completamente rifatta in forme classicheggianti nel 1710, è a navata unica, con otto cappelle laterali, che termina in un’abside profonda, con il polittico di Gaudenzio Ferrari, diviso in sei tavole, chiuso in una cornice barocca.

Dalla piazza, seguendo corso Roma, si raggiunge la chiesa di San Marco, una delle prime fondate in Val Sesia, con affreschi di Giulio Cesare Luini. Tornati nella piazza si imbocca via Umberto I fino in piazza De Gasperi, dove si imbocca via Maio.

Al numero 25 ha sede il palazzo dei Musei, con il museo Calderini e la Pinacoteca. Il primo ospita raccolte petrografiche, mineralogiche e ornitologiche del naturalista varallese Pietro che lo fondò, mentre la Pinacoteca raccoglie opere che spaziano dal XV al XX secolo; tra esse affreschi del tardo quattrocento provenienti dalla chiesa di San Marco e un intero salone è dedicato a Gaudenzio Ferrari e Antonio d’Enrico, detto Tanzio da Varallo, rappresentante della pittura del Seicento in Valsesia. Tra le opere più significative del Tanzio due versioni del Davide con la testa di Golia, Sant’Antonio da Padova (forse un vero e proprio ritratto), la pala con San Rocco (1631) e quella con la Madonna col Bambino e i santi Francesco e Carlo Borromeo.

Ripresa via Maio si sbocca in via Gaudenzio Ferrari; svoltando a destra, subito prima della salita che porta al Sacro Monte, si trova la chiesa di Santa Maria delle Grazie, con il grande ciclo di affreschi di Gaudenzio Ferrari Vita e passione di Cristo. Nel 1513 l’artista dipinse, su una superficie di più di ottanta metri quadri, ventuno riquadri: al centro la Crocifissione che anticipa quel “teatro di figura” o “grande teatro montano” come lo definì Testori, che Ferrari realizzerà al Sacro Monte. La chiesa è aperta nei giorni feriali dalle 6.30 alle 12 e dalle 15 alle 18.30.

Il Sacro Monte

Quello di Varallo è per fondazione, 1486, il più antico dei Sacri Monti, patrimonio mondiale dell’Unesco.Sacro_Monte_Varallo

Il francescano padre Bernardino Caìmi, iniziò la costruzione del complesso con l’intento di riprodurre i luoghi della Terra Santa. Alla morte del frate nel 1499 il cantiere venne sospeso per riprendere solo nel 1517 con il lavoro di Gaudenzio Ferrari, ma fu nel 1565, sotto la spinta di san Carlo Borromeo, vescovo di Milano, che, sull’onda della contro riforma, il Sacro Monte si trasformò per diventare una rappresentazione drammatica e realistica delle tappe della Redenzione. Il complesso che si snoda sulle propaggini del monte Croci fino a 608 metri, è formato dalla basilica dell’Assunta e da 50 cappelle – alcune isolate altre raggruppate, altre ancora aperte in loggiato continuo – nelle quali oltre 800 statue in terracotta policroma e legno danno vita a quadri scenici che ripercorrono la storia della salvezza dal peccato originale fino al sepolcro di Cristo. Fra i tanti artisti che vi lavorarono, oltre al citato Ferrari, Giulio Cesare Luini, Giovanni e Melchiorre d’Enrico, Michele Prestinari, i fratelli Rovere detti “i fiamminghini”, Antonio d’Enrico detto “il Tanzio”, Pier Francesco Mazzucchelli detto “il Morazzone”.

La basilica è aperta tutti i giorni dalle 7.30 alle 12 e dalle 14.30 alle 18.30.

I sapori di Varallo

Sulle tavole varallesi tutta la Val Sesia si fa sentire. Cominciamo con le miacce: si versa su un particolare utensile un impasto vellutato composto da latte, uova, farina bianca e gialla, panna e sale e si fa cuocere su una piastra rovente. Quando è cotta si farcisce la miaccia con formaggi nostrani o salumi oppure con marmellata di frutti di bosco o miele.miacce_Valsesia

Altro piatto tipico le patate masarai, zuppa tipica della Val Vogna, che si prepara soffriggendo porri e pancetta per poi aggiungere latte e patate tagliate a dadini. Dopo novanta minuti di cottura la zuppa è pronta.

Le trote alla valsesiana invece – dopo essere state pulite e incise su ambedue i lati, salate, pepate, infarinate, farcite con salvia e rosmarino – si cuociono a fuoco lento in un tegame con il burro, rigirandole più volte.

Infine, i dischi di polenta con funghi. Preparate dei dischi di polenta larghi una decina di centimetri e spessi 3 o 4 centimetri. Scavateli al centro e passateli nell’uovo sbattuto. Rivestiteli di pane grattugiato e friggeteli in olio d’oliva e burro. Scolate e riempite i nidi con i funghi che avrete trifolato a parte. Servite caldissimi.

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